I libri, nel frattempo, si accumulavano nelle camere e nei corridoi, formando pile precarie tra le quali ero costretto ad avanzare con cautela. [1]
[1] Tzvetan Todorov,
La letteratura in pericolo,
(Flammarion, Paris 2007), trad. di E. Lana, Garzanti, Milano 2008, p. 9.
Ci sape!
I mme pare ca u josce ete u
recuerde
ggià de nu suenne, u desidèrie agghjiuse
de n'atu suenne; sende c'agghje perse
na cose, ma na ssacce; ca me
spette
na cose ggià passate, ggià
chjangiute;
ca cre, ci sape...![2]
[2] Pietro Gatti, A terra meje (1976), in Pietro
Gatti Poeta, a cura di Donato Valli, 2 voll., Manni, San Cesario di Lecce
2010, vol. I, p. 91. «Chi sa! - E mi sembra che l'oggi è il ricordo già di un
sogno, il desiderio chiuso di un altro sogno; sento che ho smarrito una cosa,
ma non so; che mi attende una cosa già trascorsa, già pianta; che domani, chi
sa...!»
Mommina non poté più né cantare,
né ballare, né andare a teatro, e neanche più ridere come prima.
Mommina era buona [...] Mommina capiva tante cose [...] Ma
Mommina, oltre alle tante cose che capiva, aveva anche la passione dei
melodrammi.[3]
[3] Luigi Pirandello, «Leonora, addio!», pubblicata in «Corriere della Sera», 6 novembre
1910; poi in Tz 1912; in N12 1928; infine in OMII 1938;
ora in NOIII pp. 374-383.
...Il canto di Ulisse.
Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non abbiamo tempo di scegliere,
quest'ora già non è più un'ora. [...] Come se anch'io lo sentissi per la prima
volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato
chi sono e dove sono. Pikolo [...] ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo
riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che
riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della
zuppa sulle spalle.[...]
- Kraut und Rüben -. Si annunzia ufficialmente che
oggi la zuppa è di cavoli e rape: - Choux et navets - Káposzta és répak.
Infin che 'l mar fu sovra noi
richiuso.[4]
[4] Primo Levi, Se questo è un uomo (1947), in Id. Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi, Torino 200026,
pp. 100-103.
- Basta! - disse fra sé don Chisciotte -. Voler
indurre con le preghiere queste canaglie acché facciano un'opera buona è
predicare al deserto. E in quest'avventura devono essersi scontrati due
fortissimi incantatori, l'uno dei quali ostacola ciò che vuol fare l'altro.
L'uno mi ha fatto trovare la barca, e l'altro mi ha buttato giù. Che Dio ci
metta riparo, che tutto il mondo è pieno di macchinazioni e di trame, le une in
contrasto con le altre. Io non ne posso più. [...] I pescatori e i mugnai
guardavano stupefatti quelle due figure, così diverse, all'aspetto, dal resto degli
uomini, e non riuscivano a capire a che cosa mirassero i discorsi e le domande
che faceva don Chisciotte; e giudicandoli due pazzi, li lasciarono e se ne
tornarono, i mugnai ai mulini e i pescatori alle loro barche. Don Chisciotte e
Sancio tornarono alle loro bestie, e alle bestie che erano, e questa fu la fine
dell'avventura della barca incantata.[5]
[5] M. De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia (1605-1615), trad. introduzione e note
di V. Bodini, 2 volumi, Einaudi, Torino 20073, p. 830.